I pericoli di certe domande chiuse e come superarli

I pericoli di certe domande chiuse e come superarli

Credo siamo tutti d’accordo nel ritenere che la scuola dovrebbe stimolare il pensiero critico degli studenti, aprire i loro orizzonti, aiutarli a pensare fuori dagli schemi e a trovare soluzioni nuove, proprie o creative ai problemi. O almeno, questa è la scuola per cui lavoro io.

Nell’articolo sull’insegnamento dialogico abbiamo cominciato ad analizzare l’importanza del parlare in classe, concentrandoci su una metodologia di insegnamento molto specifica che ha come obiettivo quello di realizzare i meravigliosi propositi elencati sopra. In questo articolo, vedremo come si inseriscono un certo tipo di domande chiuse in questo quadro.

#Domande chiuse ‘IRF’: definizione

Le domande chiuse a cui mi sto riferendo sono definite in inglese ‘IRF’, acronimo di ‘Initiation, Response, Feedback’. Questo tipo di domande sono generate dall’insegnante (‘initiation’), allo studente è richiesto dare una risposta (‘response’) e poi c’è la valutazione dell’insegnante (‘feedback’). La domanda ha una risposta esatta e breve. Alla valutazione dell’insegnante, ovvero il giudizio se la risposta sia giusta o sbagliata, non segue una discussione o un approfondimento (Dawes, 2014).

Alcuni esempi di domande chiuse ‘IRF’: «Quanto fa due più tre?», «Quali sono le proprietà di un triangolo?», «Che segno di interpunzione si inserisce al termine di una domanda?».

Ecco un esempio tipico di interazione con domanda chiusa ‘IRF’:
Insegnante: «Quanto fa quindici più nove, Marco?» (‘I’)
Marco: «Ventuno». (‘R’)
Insegnante: «No». (‘F’)

#Criticità legate alle domande chiuse ‘IRF’

Questo tipo di domande possono essere utili in sede di valutazione sommativa (durante un’interrogazione o un esame, per esempio) o per ottenere veloci informazioni per la valutazione formativa, ma durante le nostre lezioni, quando insegniamo nel vero senso della parola, dovremmo evitare di abusarne perché le domande chiuse ‘IRF’ non stimolano il pensiero e il ragionamento degli studenti.

Quando viene fatta loro una domanda chiusa ‘IRF’, infatti, agli studenti è chiaro che l’insegnante abbia in mente un’unica risposta giusta, e se non la conoscono proveranno a indovinarla chiedendosi “cosa si aspetta che dica il prof?”. È così che nascono alcune delle risposte più esilaranti e strampalate che si possono sentire in aula, tipo: «Come si chiama il verso con l’accento sulla decima sillaba?» «Mmm… sineddoche?». Non c’è riflessione in questa risposta, solo il tentativo di compiacere l’insegnante dandogli la risposta che lo studente immagina voglia.

#Le domande chiuse ‘IRF’ sono ancora diffuse? Perché?

La comunità scientifica anglofona è quasi unaninamente d’accordo nella critica alle domande chiuse ‘IRF’ e ne raccomanda un uso centellinato. Eppure, secondo uno studio recente condotto in Inghilterra (Fisher, 2016), nelle scuole inglesi è ancora la forma di scambio più tradizionale e diffusa tra insegnante e studenti.

Perché? Opinione personale:
– è il tipo di domanda più semplice da fare
– lascia all’insegnante assoluto controllo
– rappresenta pienamente la dinamica di ‘potere’ (mi scuso per l’espressione forte) tra insegnante e studenti.

Un certo tipo di utilizzo delle domande chiuse ‘IRF’ ci dà l’impressione di far partecipare gli studenti alla lezione, di essere inclusivi, ma è in realtà illusorio, non è davvero così. Perché questo:
«Oggi continuiamo a parlare del Brasile. Come abbiamo visto ieri, il Brasile si trova in… Giorgia?»
«Sud America».
«… si trova in Sud America, e la sua capitale è… Marco?»
«Rio De Janeiro prof?»
«No. Sara?»
«Brasilia».
«… e la sua capitale è Brasilia».

Non è un grande esempio di coinvolgimento attivo degli studenti (diverso se le domande sono state fatte per valutazione formativa, ma attenzione a non esagerare).

#Tre trucchi semplici per allontanarsi dalle domande chiuse ‘IRF’

Se abbiamo l’obiettivo di coinvolgere davvero i nostri studenti, stimolare in loro la riflessione e il pensiero critico, promuovere la loro autonomia e rendere la nostra classe più democratica, ma troviamo difficile staccarci dalle domande chiuse ‘IRF’, ecco alcuni trucchi per trasformarle.

Farle seguire da una domanda aperta. Per esempio:
«Quanto fa 21*11, Michele?»
«Mmm… 231».
«Perfetto! Che strategia hai usato per risolvere la moltiplicazione?»
«Ho fatto 21*10 e poi aggiunto 11».
«Wow, questo è un modo davvero efficace per risolvere la moltiplicazione! Qualcuno avrebbe usato un metodo diverso? Giulia, tu come l’avresti svolta?»

Ed ecco che la domanda non è più ‘IRF’, perché dopo la valutazione dell’insegnante si è innescata una discussione aperta sui diversi metodi per risolvere mentalmente una moltiplicazione. Se dopo la prima risposta di Michele «231» il professore avesse proseguito con un nuovo argomento, quella domanda non avrebbe generato apprendimento o riflessioni per la classe. Così, invece, sì.

Fare la domanda prima di spiegare qualcosa. Prendiamo per esempio la domanda «Quali sono le cause della Rivoluzione Francese?»: se fatta il giorno dopo la lezione, gli studenti dovranno dimostrare di aver studiato e memorizzato la lista di cause spiegata dall’insegnante. Ma se fatta prima della spiegazione, richiederà agli studenti di utilizzare le conoscenze del periodo storico, delle condizioni di vita dei francesi, della situazione politica ed economica, per riuscire a ipotizzare possibili cause della rivoluzione francese.

Non valutare la risposta ma chiedere alla classe se sono d’accordo o no. So che è difficilissimo, ma in questo caso l’insegnante deve fare un passo indietro e astenersi dal giudizio. Per esempio, il giorno dopo aver studiato le proprietà dei triangoli, potrebbe andare così:
Insegnante: «Ieri abbiamo visto le proprietà dei triangoli. Proviamo a riepilogarle. Cominciamo con una… Monica?»
Monica: «I triangoli hanno tre lati».
Qui l’insegnante deve esimersi dal dire “giusto” o “sbagliato” e lasciare che la discussione prosegua.
Insegnante: «Grazie! Mario?»
Mario: «Sono d’accordo con Monica. I triangoli hanno tre lati e tre angoli interni, la cui somma è 120».
Insegnante: «Grazie per il tuo contributo Mario. Vedo che Natalia ha la mano alzata. Sì Natalia?»
Natalia: «I triangoli hanno tre lati e tre angoli interni, ma la somma è 180, non 120».
Insegnante: «Grazie Natalia. Prima di andare avanti con le altre proprietà, ho una domanda per tutti. Al mio “via”, voglio che mi mostriate con le dita 1 se siete d’accordo con Mario che la somma degli angoli interni del triangolo è 120, 2 se siete d’accordo con Natalia che la somma degli angoli interni del triangolo è 180. Tre, due, uno, via».

E poi, alla fine della discussione, l’insegnante riepiloga le proprietà dei triangoli.

#Conclusione

Le domande chiuse ‘IRF’ sono spesso demonizzate e criticate. A mio parere, come in molte altre cose nella professione di insegnanti, è importante trovare un equilibrio virtuoso e usare questo tipo di domande quando sono effettivamente lo strumento migliore, come per la valutazione sommativa o per una veloce valutazione formativa. Ma facciamo attenzione a non esagerare!


Risorse:

  • Dawes, L. 2014. Organising Effective Classroom Talk. In J. Arthur and T. Cremin. Learning to Teach in the Primary School. London: Routledge, pp. 217-230.
  • Fisher, R. ed. 2016. Teaching Thinking: Philosophical Enquiry in the Classroom. London: Continuum.
  • Sinclair, J. McH. and Coulthard, M. 1975. Towards an Analysis of Discourse. London: Oxford University Press.
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About Mr Bellana

Luca Bellana è insegnante, head of Phonics e coordinatore del team di ricerca in una scuola primaria di Londra. È specializzato nell’utilizzo della ricerca scientifica nell’insegnamento. Scrive per “Parliamo di insegnamento” articoli su ricerche, pubblicazioni e studi di rilevanza in campo educativo.

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